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Si è ripetuto per anni che il cinema italiano non ha memoria, che dimentica in fretta i suoi protagonisti, che il pubblico passa in fretta dall’amore per un Sordi o un Gassman alla familiarità con veline e soubrettes. La buona notizia è che questo non è più vero. Anzi è nata, diciamo nell’ultimo quinquennio, una vera e propria cultura della memoria, che via via è diventata anche un settore del mercato tra documentari, dvd e broadcast. Il merito iniziale va equamente diviso tra i grandi festival, che hanno per primi intuito l’importanza del ricordo e del recupero della lezione stessa dei grandi cineasti scomparsi (lezione da tenere in vita in quanto garanzia eterna – sullo schermo – di grande spettacolo) e la televisione. Rai Teche in testa, guidata da Barbara Scaramucci che prima ha reso disponibili praticamente tutti i materiali degli enormi archivi Rai, e quindi ha dato l’avvio alla partecipazione (alla pari dell’Istituto Luce, per capirci) a produzioni documentaristiche e non basate esclusivamente o quasi sull’utilizzo dei propri materiali d’archivio. Un esempio per tutti, il documentario 1960 con cui Gabriele Salvatores partecipa Fuori Concorso alla 67ª Mostra del Cinema, fra i tanti altri tra cui anche il Vittorio Gassman di Scarchilli con Gassman jr. Ma fin qui il fenomeno potrebbe sembrare autoreferenziale, nel senso che la memoria del cinema è sì rinata, ma visibile solo per il cinema stesso e per il suo non foltissimo popolo di frequentatori e addetti. E invece no. La novità 2010 sta proprio qui. Basta accendere la tv per capirlo. Sì, perché dopo l’analisi palmare dei rilevanti risultati d’ascolto delle lunghe strisce serali e pomeridiane realizzate con la semplice e quasi automatica collazione di materiali d’archivio (ricordate? i comici, i grandi musical, i varietà ecc.) Rai Teche ha influito evidentemente sui programmatori promuovendo la realizzazione di strisce d’archivio altrettanto fortunate e frequenti ma utili dal punto di vista conoscitivo e realmente stimolanti per la conservazione della memoria dei grandi talenti anche per il grande pubblico delle reti generaliste e non più solo, finalmente, dal punto di vista nostalgico. Seguendo in parte anche la tecnica di un bel programma come Stracult di Marco Giusti, i cosidetti “programmi estivi d’archivio” (come li chiama Aldo Grasso) sono diventati per lo spettatore qualcosa di più: montando una scena di un film degli anni 50 dopo una performance di Studio Uno su un determinato argomento, su cui quarant’anni dopo torna, ad esempio, anche Fiorello e su cui, sempre per esempio, aveva a lungo parlato, che so, Dino Risi negli anni 80, non solo ci divertiamo, non soltanto ricordiamo e paragoniamo, ma impariamo. Tanto, su di noi, e su ciò che siamo stati, forse su ciò che saremo. Cosa che d’inverno, in tv, non succede mai. O quasi.
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