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Nati con una spiccata connotazione maschile (il calcio) e una infantile (i cartoon), i servizi multichannel – sia pay che free – stanno subendo da qualche tempo (e in particolare con la road map Dtt ormai in fase avanzata) una decisa virata verso il femminile. È un fenomeno interessante che va a coinvolgere le cosiddette responsabili d’acquisto delle famiglie, quel target che sulla tv generalista gratuita contribuisce a formare lo zoccolo duro della platea televisiva. Non a caso alla sua portata dedichiamo un servizio a pag. 42. Multiforme l’offerta satellitare, che ha scoperto peraltro con meraviglia quanto al popolo rosa sia gradito il giallo crime, genere storicamente attribuibile al gusto maschile. Pregevole quella del Dtt pay. Mentre è probabilmente la neonata vocazione al femminile del Dtt free a lasciare a desiderare perché, in assenza di una forte connotazione editoriale, canali come La7D e La5 appaiono piuttosto come delle minestre riscaldate delle programmazioni delle reti ammiraglie. Ovvio, alla base esistono comprensibili ragioni industriali che non spingerebbero a impiegare risorse su una piattaforma ancora non abbastanza remunerativa sotto il profilo pubblicitario. Ma allora perché non presentarli come semplici canali minigeneralisti, come si fa nel resto d’Europa, anziché andare a scomodare il target femminile che sulla multicanalità ha modalità di fruizione, e quindi di scelta, diverse rispetto alla tv tradizionale? Anche perché, consci della regola non scritta che non tutto ciò che le donne guardano sulle generaliste ha lo stesso appealing sulle tematiche, non è detto che gli inserzionisti abbocchino. Certo, si parla anche di produzioni originali che dovrebbero arrivare in autunno, per lo più per testare format: scelte, quindi, soprattutto funzionali alle reti ammiraglie. Eppure sull’“altra metà del teleschermo” si gioca una partita importante: siamo ormai dentro una rivoluzione di sistema, tecnologica ed economica, da cui non potrà sottrarsi uno speculare sovvertimento editoriale. Perché una cosa è indubbia: la donna digitale sarà diversa da quella analogica. Anzi, lo è già. E davanti all’offerta variegata che le si para innanzi modificherà i propri gusti televisivi, un’evoluzione che non potrà prescindere da come la donna viene rappresentata sui vari canali. A cominciare dai generalisti. Al momento di andare in stampa, la commissione di Vigilanza deve ancora decidere se approvare l’emendamento al contratto di servizio sull’istituzione di un osservatorio affinché la programmazione rispetti gli obblighi del servizio pubblico sulla rappresentazione dell’immagine femminile. Il che, visto quanto passa sugli schermi di RaiUno, RaiDue e RaiTre, sarebbe il minimo. Ma è Mediaset che dovrà affrontare la sfida più ardua, con l’eredità di pupe, veline ed “enrichi papi” che si porta dietro. E se i vari centri media piuttosto che un broadcaster come il Biscione, paradossalmente diretto da una persona a modo come Piersilvio Berlusconi, avessero la lungimiranza di commissionare un monitoraggio su quanto fastidio certe inquadrature e alcuni personaggi arrechino alle cosiddette responsabili d’acquisto, si accorgerebbero che sulla donna è ormai giunto il momento di aggiustare il tiro, di cambiare. Primo perché si deve, poi perché conviene.
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