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Diciamoci la verità, se neanche – come pare – Monti ha la forza e il coraggio di mettere mano alla Rai (chi tocca viale Mazzini muore, e il Paese non può certo permettersi di rimetterci le penne per salvare quello che – ancor più dopo l’ultimo Sanremo – appare come una sorta di circo dell’assurdo), l’impresa di riformare il mercato televisivo, imponendo un rinnovato punto di vista editoriale ed economico, appare disperata. A meno che…. A meno che – incredibile, ma vero – non sia Mediaset a farlo. Non tanto perché può, ma perché deve; ovvero, perché non le rimane altra via d’uscita.Riassumendo da una recente intervista rilasciata da Pier Silvio Berlusconi a La Stampa: il Biscione dovrebbe chiudere il 2011 con un ammontare utili pari a 200mln di euro. Certo non sono i risultati record del passato, ma gli azionisti hanno di che essere soddisfatti. La nota che però desta maggiore interesse è che dal 2012 al 2015 il Biscione opererà tagli per 250mln all’anno: a fine triennio la decurtazione di spesa sarebbe pertanto pari a 750mln di euro, e forse più. Rai ne ha fatti complessivamente per 250mln in cinque, dal 2007 al 2011, avendo un bacino di intervento molto più vasto… Che si stia già agendo pesantemente sui processi produttivi, è noto. Anche che molti consulenti più o meno esterni siano stati cancellati dal libro paga. E che gli ingaggi milionari siano stati ridimensionati è altrettanto certo. In più, ha aggiunto il vicepresidente: «Rinegozieremo i contratti dei diritti. I programmi dovranno costare meno». Senza però intaccarne il livello: «Stiamo pensando a programmi di intrattenimento e fiction di nuova generazione: di qualità, ma più sostenibili». La domanda che a questo punto sorge spontanea è in quale direzione ci si indirizzerà nei fatti, perché qualità e sostenibilità sono due concetti alquanto relativi, se rapportati di volta in volta agli investimenti, alle audience, alla critica, alla possibilità per questi prodotti di essere commercializzati all’estero, nonché alle aspettative degli azionisti di accaparrarsi la maggior quota di dividendi possibile. Già perché, utili a parte, oggi Mediaset appare un’azienda stremata, pur se più di Rai avrebbe i margini di manovra per operare una drastica inversione di marcia. In quale direzione? Forse dovrebbe farsi ritornare la voglia di stupire il pubblico, senza ricorrere alle scorciatoie imboccate negli ultimi anni, che in fondo si sono rivelate brevi quando non cieche. Il punto però è: cosa sanno i dirigenti Mediaset di questo pubblico? In una recente intervista al mensile Business People, Enrico Mentana ha paragonato chi fa televisione alle persone che vivono da così tanto tempo vicino alle stazioni da non sentire più il fischio e il rumore dei treni sulle rotaie. A lui, risultati del TgLa7 alla mano, ha fatto bene traslocare per un po’ di tempo per potersi riappropriare del suo personale punto di vista sull’informazione. Non stiamo con ciò auspicando una transumanza dei dirigenti Mediaset da Cologno Monzese, ma più semplicemente sostenendo che ci sono stimoli e spunti provenienti dalla quotidianità, dalla voglia di divertirsi nonché dal desiderio di pensare della platea televisiva che i loro canali non paiono cogliere. Non basta più proporre gli ormai stanchi programmi storici delle reti, senza frapporre tra l’uno e l’altro una tv che – sotto il profilo tecnico e dei linguaggi – sia in grado di restituire il senso del tempo che passa. E se per fare ciò per un anno o due gli azionisti dovessero portare a casa meno utili, pazienza…
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