Monsieur Bolloré, mister Murdoch e il signor Berlusconi
Dopo tanto tuonare alla fine il passaggio di mano è avvenuto. Mediaset Premium ha un nuovo assetto societario, un nuovo proprietario e un diverso destino. E se non altro il passaggio di mano a Vivendi cerca almeno di dare una risposta alla domanda che dal sorgere della tv a pagamento del Biscione si sono posti tutti gli operatori: in Italia una seconda piattaforma pay è possibile? Per Monsieur Bolloré, sì. Solo che stavolta si sposta il baricentro della competizione, da ambito difensivo – almeno così l’aveva ufficializzata Mediaset, a salvaguardia del proprio core business generalista – a impostazione offensiva: creare una piattaforma in grado di fare concorrenza a soggetti come Sky e Netflix. E per questo si avvarrà di una dimensione sovranazionale, l’unica in grado di fare economie di scala per ammortizzare investimenti in contenuti e tecnologie. I contenuti appunto, è lì che la nuova compagine di matrice francese ha puntato la sua attenzione anticipando importanti investimenti in serialità, memore del fatto che proporre un’offerta basata solo su costosissimi diritti sportivi e d’acquisto (per lo più Usa) non paga, perché così come insegnano le lezioni di Hbo e della stessa Netflix, nonché di Amazon e company, sono i contenuti esclusivi a fare la differenza sia relativamente alla riconoscibilità dell’offerta presso il pubblico, sia per raccogliere risorse dalle vendite sui mercati internazionali e per salvaguardarsi, visto che il costo delle royalty – a fronte di una richiesta sempre più “famelica” da parte dei player globali – è destinato a crescere a dismisura. È il bello della competizione, direbbe – a ragione – qualcuno. Ed è il lato positivo di un’operazione che, a parte lo storico presidio spagnolo di TeleCinco, proietta un broadcaster italiano come Mediaset in una dimensione internazionale, facendolo diventare il secondo azionista privato nella più grande media company europea. Il che può significare tutto o niente. Perché il Biscione potrà scegliere di stare alla finestra e limitarsi ad assecondare le scelte strategiche e industriali di Bolloré, che a dire il vero ha dimostrato di avere una fame di business paragonabile, se non superiore, a quella del mister Murdoch dei tempi migliori, oppure cogliere l’occasione per darsi uno scarto, un’accelerata ora che non ha più il peso dei diritti del calcio a cui fare fronte, per ridare nuova linfa a una proposta generalista che negli ultimi anni ha perso smalto, approfittando anche (ma non solo) dei contenuti pregiati a cui potranno probabilmente avere accesso i suoi canali generalisti dopo il passaggio in pay. A Pier Silvio Berlusconi e sodali l’ardua sentenza su come sfruttare il vantaggio competitivo che si presenta, soprattutto nell’arco del prossimo anno, passato il quale monsieur Bolloré potrà accrescere la sua presenza all’interno di Mediaset (cfr. pag. 25), il cui valore – se le cose dovessero filare lisce – potrebbe nel frattempo salire. C’è da dire che dal punto di vista dell’utenza ciò significherà che nell’arco di un paio d’anni potremmo trovarci con un’offerta di fiction originale europea – anche di stampo italiana – molto più ricca e variegata. E se la competizione si regolerà sugli standard Sky, c’è da giurarci che se ne vedranno delle belle. Anche in virtù della reazione che tutto ciò innescherà da parte del satellite e del servizio pubblico, che proprio in queste settimane vedrà ridefiniti gli ambiti d’azione del suo operato nei prossimi 10 anni attraverso il rinnovo della convenzione con lo Stato.
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