SI POTEVA FARE DI MEGLIO
C’è chi dice che i broadcaster abbiano ragione a non voler far decidere al Parlamento cosa mettere in palinsesto. C’è chi sostiene che era ora che si desse maggiore respiro all’industria audiovisiva tricolore, proponendo una sorta di “eccezione italiana” rispetto a quella internazionale. C’è chi ipotizza che il decreto legislativo sulla “Promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi media audiovisivi”, che porta la firma del ministro Franceschini ed è in attesa di ricevere il via libera dal Parlamento e dal Consiglio di Stato, sia in tutto e per tutto il provvedimento che serviva per la riscossa della produzione italiana. Altri rispondono che si è voluto così strafare rispetto alla direttiva europea “Televisioni senza frontiere” che prevede quote di programmazione meno dirigiste. Potremmo continuare a lungo su chi dice cosa e perché, senza con questo arrivare a un dunque univoco. Anche perché, diciamocelo pure, la politica italiana in materia di cinema e di televisione ha lasciato sempre a desiderare, e il retropensiero sulle convenienze di parte e partitiche è sempre stato più che legittimo… La realtà è che ancora una volta si è deciso di procedere, purtroppo, in maniera schizofrenica, con autistiche fasi di stallo e improvvide fughe in avanti, alimentando divisioni e contrapposizioni, a tratti forzando la mano agli uni e spingendo altri, magari ancora non pronti, a raccogliere la sfida.
Il fatto è che il provvedimento, certamente ambizioso, pare a tratti sovrapporre il concetto di industria a quello di impresa, dimenticando che la prima non può essere forte se non lo è prima la seconda. E ci tocca ricordare che le società di produzione italiane, a parte le solite eccezioni, hanno una struttura piccola o media, mentre la raccolta adv delle reti è ancora stagnante, quindi le risorse sono circoscritte. Certo, un settore audiovisivo forte (con broadcaster che in verità avrebbero potuto sforzarsi di più già da tempo, soprattutto in materia di fiction) aiuta anche i player a strutturarsi meglio, ma è indubbio che per riuscirci anche i diretti interessati dovrebbero essere disposti a investire su se stessi, sottostando a logiche prettamente imprenditoriali o, più banalmente, di mercato. Anche perché per misurarsi sugli standard internazionali – e o ci si misura su questi, o tutto un simile ambaradan sarebbe inutile – bisognerebbe realizzare prodotti ad alto budget e indubbiamente esportabili, mentre un impegno orario così importante, anche in prime time, rischia di far naufragare tutto in scappatoie a buon mercato. Inoltre, la questione che dai generi “beneficati” sia rimasto fuori l’intrattenimento, pur se sembra che possa essere apportata una correzione in tal senso al decreto (e vorrei vedere), la dice lunga sul fatto che ancora una volta siamo di fronte a un provvedimento “cinemacentrico”, che non tiene conto della peculiarità delle audience tv. E hai voglia a spiegare, come abbiamo fatto in questi anni, che un buon prodotto di intrattenimento racconta la nostra cultura e la nostra società tanto quanto un buon film o fiction che sia. Quindi, corrisponde forse al vero che Franceschini & Co. stiano cercando di fare qualcosa di più per questo comparto, ma è indubbio che avrebbero potuto (e potrebbero ancora) farlo – molto, ma molto – meglio.
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