Un Monti per la Rai
Due anni di profonda crisi economico-finanziaria a livello globale, e ancor più di recente in Eurolandia, stanno probabilmente influenzando il nostro immaginario collettivo al punto da farci scorgere crisi e tagli in ogni dove. Ma è anche vero che, per certi aspetti, la situazione in cui versa la Rai è raffrontabile a quanto sta passando il Paese. Perché se il governo Berlusconi è stato costretto a farsi da parte per l’ormai quasi nulla credibilità che godeva a livello internazionale e sui mercati, anche la reputazione di un cda che ha regalato alla concorrenza protagonisti di punta del palinsesto (La7 e Sky ringraziano sentitamente…), senza aver prima provveduto a un’adeguata sostituzione, non sta di certo raccogliendo il plauso di abbonati e inserzionisti. Abbonati che, così come accade per l’evasione fiscale (siamo i secondi in Ue dopo la disgraziata Grecia), praticata da ampi strati della popolazione e tollerata dalla politica, dimenticano volontariamente di pagare il canone per un ammontare di circa 800mln di euro l’anno. E poi la crisi che, come operato da Tremonti a livello di legge Finanziaria, ha dettato tagli orizzontali – senza se e senza ma – ai budget dei contenuti. Le opportunità politiche che inquinano le scelte editoriali. La burocrazia che rallenta le fasi decisionali. La meritocrazia demansionata. I costi del personale alle stelle: quasi 12mila dipendenti… È troppo, veramente troppo per un’azienda, seppur statale, che invece si trova a concorrere (conflitto di interessi a parte) con competitor che praticano logiche d’impresa. Quali? Se un manager è incapace non lo si sceglie; se un direttore sa poco o nulla di palinsesti, non diventa tale; a un conduttore o a una conduttrice, così come a un attore o a un’attrice, non si chiedono la patente politica o le preferenze sessuali bensì il curriculum professionale e di avere talento. Tutte cose già dette da Tivù in vari modi e a più riprese in questi anni. Ma pare giusto ribadirle in un momento in cui si evidenzia una seppur debole possibilità per sbloccare la Rai, in vista del rinnovo del cda nel marzo prossimo. Quando, se tutto andrà come deve, l’inquilino di Palazzo Chigi sarà ancora il professor Monti il cui mandato è risanare, al massimo in tutto o in parte privatizzare, anziché occupare, le società partecipate dallo Stato. Basterebbe che un organismo esterno, così come nel caso del governo l’Ue o il Fmi, pretendesse una volta per tutte dal nuovo management di porre in essere un serio piano industriale anche di breve periodo: Lorenza Lei ha dimostrato di avere il temperamento e le capacità, ma non le necessarie autonomia e indipendenza per poter portare a casa il risultato. Così, l’unica speranza che rimane a chi crede ancora in una Rai che, come recitava un refrain di qualche anno fa, sarebbe «la più grande industria culturale del Paese», è di augurarsi di avere un nuovo cda facsimile dell’attuale governo: sufficientemente tecnico (vale la pena ricordare che nessuno, dicasi nessuno, degli attuali consiglieri ha mai fatto un minuto di televisione?) e assolutamente concentrato sul risanamento, non solo dei conti ma anche della mission. Una Rai forte servirebbe al mercato e anche al Paese, e augurarle di potersi regalare la prossima primavera una dirigenza tanto capace e credibile da poter fare scelte anche impopolari per la sua dignitosa sopravvivenza, è il miglior auspicio che si possa esprimere in vista del nuovo anno.
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