Basta con la forma, si passi alla sostanza
C’è un pensiero che spunta furtivo ogni volta che leggo un giornale o che ascolto per caso i discorsi della gente al bar o per strada: ogni italiano saprebbe perfettamente cosa fare per risolvere i problemi del Paese. Così come chiunque sia in grado di maneggiare il telecomando di un televisore, saprebbe molto meglio del c.t. chi far giocare e chi tenere in panchina per far vincere la Nazionale. Una categoria, in particolare, saprebbe a menadito risolvere gli errori per fare dell’Italia una nazione efficiente, evoluta ed emancipata, quella dei giornalisti. Che, ogni mattina che Dio manda in terra, si cimentano nel mandare alla forca il governo di turno per le stesse ragioni per cui invece elogiavano il precedente, per il quale ovviamente simpatizzavano. È l’eterno gioco delle parti, che oscilla tra il “come fai sbagli” e il “come fai sei un genio”. È la maledizione della democrazia, per la quale non esistono vie di mezzo, perché altrimenti il messaggio non passa, non si buca lo schermo durante i talk e i titoloni a tutta pagina risulterebbero piatti. Eppure, ancor più che avere il sacrosanto diritto di essere informati meglio, avremmo quello di essere governati correttamente. E non parlo di corruzione, ma di qualcosa che deve venire ancor prima e che potrebbe servire anche da antidoto a quest’ultima, e cioè abbiamo il diritto-dovere di sapere le cose come stanno. Abbiamo il diritto di non essere governati a colpi di slogan – «abbiamo diminuito le tasse», «abbiamo fatto le riforme che nessuno aveva fatto in 20 anni», «abbiamo costretto le Regioni a tagliare gli sprechi», etc – e abbiamo il dovere di discernere, di chiedere conto, di indignarci. Perché se si va a vedere dietro le quinte, si scopre invece che le Regioni hanno tagliato piuttosto i servizi primari, non certo gli sprechi, l’aliquota Iva è lievitata abbondantemente, così come il debito pubblico e l’evasione fiscale. Si scopre insomma che le cosiddette riforme hanno riguardato spesso la forma anziché la sostanza: solo un abile e furbo maquillage o poco più. Avete idea di cosa succederebbe se un simile modus operandi venisse applicato alla gestione di un’impresa, dove a collaboratori e dipendenti viene chiesto di proporre soluzioni ai problemi che emergono, dove la sfida quotidiana sta nell’incidere sui costi e ottimizzare i processi, rivedere in continuazione le funzioni interne e monitorare costantemente il rapporto col cliente? Sarebbe la fine, un’ecatombe. Eppure è quanto viene chiesto anche a un buon amministratore pubblico, dal quale un buon imprenditore o manager che sia si differenzia solo per avere una visuale particolare (quella della sua azienda) rispetto a quella generale, propria del politico che si mette a servizio del bene comune. A pochi si chiede di essere degli statisti visionari, dalla stragrande maggioranza i cittadini pretendono che governino con buonsenso e l’autorevolezza di chi – quando serve – sa trovare soluzioni anche impopolari ai problemi cronici. Certo, guidare un Paese come l’Italia, con una storia controversa, con le magagne e le contraddizioni costruite lungo 70 anni di alterne vicende, non è certo missione facile, ma diamine non sarà certo impossibile! Basterebbe copiare dai più bravi, da quelli ai quali certe cose riescono meglio. O non siamo neanche in grado di fare questo?
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