House of Irap
Avete in mente l’America Works, il fantasmagorico piano di Frank Underwood attraverso il quale, a fronte di un investimento pari a 500 miliardi di dollari – frutto di tagli vari al welfare, ai servizi e alla sicurezza –, il presidente di House of Cards intende dare lavoro a 10 milioni di disoccupati statunitensi? Potenza della fiction… Ebbene, nella Vecchia Europa, e precisamente nello Stivale, c’è chi da anni attende invano un’altrettanto rivoluzionaria (ma reale e concreta) svolta sul fronte dell’Irap, la famigerata imposta regionale sulle attività produttive, che tassa il fatturato delle aziende a prescindere dal fatto che l’utile di esercizio abbia chiuso in rosso o in nero. Un tesoretto che per le casse governative si aggira intorno ai 32 miliardi di euro all’anno, una spina nel fianco per ogni impresa che si trova a pagare un tributo allo Stato anche sulle perdite. Per dirla tutta, siamo di fronte in assoluto alla tassa più masochista che un governo potesse pensare di imporre, perché impedisce di fatto la crescita e riduce ogni chance competitiva per il Sistema Paese. Da anni si parla, quasi a ogni elezione, ora di abolirla ora di riformarla, ridurla o rimodularla, senza che poi si venga a capo di nulla. Anche il governo Renzi continua a tergiversare in materia, avendo rimandato al prossimo autunno ogni decisione in merito. Eppure, si fanno sempre più insistenti gli studi di economisti ed esperti secondo i quali una generica riduzione delle tasse – ammesso che mai ci si arrivi – non costituirebbe di per sé un fattore di crescita economica, così come lo stesso meritorio Job Acts potrebbe alla fine rappresentare solo un palliativo, visto che le agevolazioni fiscali – nel caso in cui non dovessero essere rinnovate negli anni successivi – si fermeranno alle assunzioni fatte entro il 2015. No, per dare una sferzata alla crescita del Belpaese bisogna intervenire riducendo le tasse che gravano sulle imprese, ovvero partire dall’imposta sul reddito delle società (Ires) per approdare all’Irap, tagliando quest’ultima di almeno un buon 20%. Per rendersi conto di come il gioco valga la candela bisogna guardare cos’è successo nei regimi fiscali in cui un simile provvedimento è stato adottato. Infatti, a fronte di territori come l’Italia e la Francia in cui la tassazione sulle imprese arriva fino al livello monstre del 40%, in Inghilterra proprio questo aprile la percentuale passa da 21 a 20 punti: non è quindi un caso che Londra sia diventata uno dei rifugi fiscali più attraenti d’Europa (Fca docet). Così come non lo è per l’Irlanda che ha una tassazione al 12,5%, e che per il 2015 prevede una crescita al 4,7%, e un bilancio che dopo sette anni non prevede misure per l’austerity. Davanti a un simile stallo, Frank Underwood ci guarderebbe negli occhi dal video e ci direbbe con quel suo fare da Macbeth di Capitol Hill, «se uno Stato non riesce a risolvere un problema, o va cambiato lo Stato o va cambiato il problema». Potreste mai dargli torto?
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