Vorrei l’aristocrazia delle intelligenze
Da cattolico romano quale sono, c’è una cosa che apprezzo dell’etica protestante: la responsabilizzazione del singolo verso se stesso e verso il mondo che lo circonda. Che è ciò che ha reso le economie del Nord Europa quelle che sono: più solide e meno emozionali. A dire il vero non è che il cattolicesimo affermi diversamente, solo che lo dice con un’accondiscendenza che viene mal interpretata. E non è poi detto che i teutonici e gli anglosassoni siano geneticamente più onesti di noi latini, anche loro hanno le loro belle magagne, ma ci siamo capiti… Quindi, mi viene da riflettere in questa fase politica del nostro Paese, in cui si intendono far passare provvedimenti senza copertura alcuna (reddito di cittadinanza in primis e cancellazione della legge Fornero in secundis) per supporti altruistici verso presunti sfortunati e disagiati, e provo rammarico. Perché siamo alle solite: dietro un pericoloso paravento demagogico non si fa nulla per sottolineare la potenza della responsabilità e dell’azione del singolo individuo. Ricordate l’uno vale uno di pentastellata memoria? Ebbene, io non sono d’accordo: a volte uno vale due, altre volte addirittura tre, mentre altri valgono metà o un quarto. E mi riferisco nel primo caso a quelli che pagano tutte le tasse che gli spettano, quelli che studiano e si specializzano anche all’estero magari lavorando, quelli che vivono la loro professione – anche la più umile – come un qualcosa da fare al meglio delle proprie capacità, quelli che si sentono parte attiva e responsabili della società in cui vivono e non s’inventano scorciatoie per deresponsabilizzarsi. Gli altri, invece, sono quelli che studiacchiano male, vanno alle urne votando non magari il meno peggio ma per chi gli conviene di più, considerano le tasse una calamità, vivono il lavoro come un parcheggio, rivendicano lo stipendio come un diritto a prescindere. Sono quelli a cui tutto è dovuto, perché – pare – abbiano già dato, ma cosa e quando ciò sia avvenuto non è possibile saperlo. Sono quelli nati in credito perenne con il mondo, perché hanno diritto a tutto: a mansioni non troppo stancanti, a una casa dignitosa, a una cospicua pensione, alla scuola sotto casa, all’esenzione sanitaria, a essere serviti e riveriti, ma senza – come dire? – pagare pegno. E non stiamo parlando, ovviamente, delle persone in reale difficoltà che hanno il sacrosanto diritto di chiedere solidarietà e che le sia riconosciuta in tempi e in modi propri di una civiltà che possa definirsi tale. No, mi riferisco a certi furbetti che si fanno pagare in nero, a quelli che preferiscono rimanere disoccupati anziché fare un lavoro non altezza delle loro aspettative, o a quelli che un lavoro ce l’hanno ma lo fanno con le marce basse inserite: tanto lo farà qualcun altro al posto loro. Perciò alla luce di tutto questo, e molto altro ancora che risparmio di elencare, di una cosa sono sempre più convinto. Ed è che in politica la democrazia è certamente il “male” minore rispetto alla altre forme di governo, ma che nella vita reale bisogna puntare sull’aristocrazia delle intelligenze, del merito, delle capacità e finanche della compassione, perché nessuno deve poter pretendere dagli altri quello che per primo non è disposto a dare.
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