Del Brocco, La direzione del cinema italiano tra sala e nuove piattaforme

Il 10 novembre Il foglio ha pubblicato un intervento dell’amministratore delegato di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, che affronta alcuni temi di stringete attualità per il cinema italiano. Ecco il testo nella sua versione integrale

«Da mesi aleggiano diverse opinioni sul destino del cinema italiano, in molti casi contrastanti tra loro. C’è una sorta di previsione apocalittica alternata a un sentimento di noncuranza, come se il cinema fosse sempre quello, destinato a non cambiare o a soccombere da un momento all’altro. Eppure, la qualità dei nostri film, riconosciuta nei festival internazionali più importanti, non raggiungeva dei livelli così alti da decenni. Cosa succede dunque? In realtà per la prima volta nella sua storia, il nostro sistema cinematografico è scosso da turbolenze esterne, legate all’avvento di nuovi operatori e nuovi modelli di fruizione dei contenuti, e da criticità interne ben note e da dover affrontare: una sempre presente stagionalità, una pirateria endemica al comparto e, infine, una contrazione della quota di mercato dei film italiani in sala progressiva e costante da tre anni a questa parte. La scelta di distribuire il film Sulla mia pelle, simultaneamente in sala e su Netflix – scelta che probabilmente si ripeterà anche per il film Roma, Leone D’Oro a Veneziafa emergere alcuni quesiti per cui è possibile condividere qualche riflessione.

Qual è il destino del cinema italiano se persino la Mostra di Venezia cambia? Come porsi di fronte a nuovi operatori che sembrano essere al di sopra delle regole vigenti? Per quanto riguarda Venezia, è un dato di fatto che negli ultimi anni il Festival abbia raggiunto un lustro e un prestigio degno delle migliori edizioni del passato. La cinematografia mondiale guarda a Venezia come un appuntamento di primaria importanza e il merito è sicuramente della gestione portata avanti in maniera coraggiosa dal direttore Alberto Barbera. Sembra però che il verdetto finale dell’ultima edizione abbia lasciato qualche perplessità e mi chiedo, sempre per condividere in maniera costruttiva qualche riflessione, a cosa possa servire oggi un Festival. La risposta è strettamente correlata alla visione che ognuno di noi ha del cinema. Personalmente credo che oggi un Festival serva innanzitutto a dare visibilità internazionale ai film più profondi e densi di significato, amplificando il loro incontro con il pubblico e quindi assegnando una forza mediatica che altrimenti sarebbe difficile ottenere. Mi riferisco a quei film capaci di scuotere lo spettatore, di porlo di fronte a domande che necessitano una risposta e quindi un grande lavoro di rielaborazione personale. È mia convinzione che quanto appena descritto sia strettamente connesso alla fruizione in sala e possa vivere solo con la sala. Non è solo una questione di business. Non è un problema che i nuovi operatori utilizzino i Festival internazionali più importanti per far risaltare il loro marchio attraverso film di altissima qualità, come nel caso di Roma di Cuarón. Esiste però il rischio di dare visibilità, attraverso un Festival così importante, a chi non ne ha veramente bisogno o crede di poter fare a meno della sala. Chi pensa che il futuro del cinema possa esistere senza le sale non comprende realmente le implicazioni economiche, sociali e culturali di questa visione. Il patto che intercorre tra testo (il film) e lettore in sala è totalmente diverso da quello creato da altri modelli di fruizione. La sala è l’unico luogo sospeso e protetto in grado di dialogare con noi in maniera esclusiva per due ore, condividendo allo stesso tempo dei significati e delle emozioni con altre persone. È un Agorà, in un certo senso, che consente ai contenuti di un film di essere sfidanti per il pubblico, richiedendo, come già detto, una grande rielaborazione personale messa a confronto con quella di altre persone. La sala è il medium nella contrattazione dei significati tra film e pubblico. Lo stesso non accade davanti a un televisore. Se i film si trovassero ad inseguire modelli di fruizione differenti, inizierebbero a competere con contenuti i cui driver sono essenzialmente rivolti all’intrattenimento, pensati a priori per dei consumi domestici, con una dimensione più intima e certamente meno impegnativa. “La comunicazione è il mezzo” e se i film fossero creati direttamente per delle piattaforme on demand, a lungo andare, fatte le dovute eccezioni, assisteremmo ad un cambiamento del linguaggio e dei contenuti proposti dalla cinematografia.

Le funzioni culturali e sociali di un film sono e rimangono connesse alla sala. È una questione di tenuta identitaria del Paese in un contesto dove le narrazioni e i contenuti mediali sono proposti da aziende di dimensioni globali e interessi, di fatto, sovranazionali. Mantenere elevata la quota di mercato del cinema italiano è quindi una prerogativa imprescindibile per chi ha a cuore il sistema cinema nel suo insieme. Che fare dunque Garantire una window esclusiva a protezione della sala per i film italiani non solo significa custodire il senso più profondo del cinema, ma significa anche guardare ad una parte importante dell’economia del comparto. Tuttavia, ostinarsi a perpetuare lo stesso modello per tutti i film, in un momento in cui il mercato è definitivamente cambiato, potrebbe non rappresentare una scelta vincente. Bisogna incominciare a differenziare i prodotti in base a delle collocazioni che permettano ad ogni film di incontrare il proprio pubblico senza lederne il valore. Per molti di quei film che non riescono ad ottenere un grande riscontro in sala e che non andrebbero comunque oltre la settimane di programmazione, potrebbe essere credibile pensare ad una sorta di canale preferenziale, creato con la collaborazione dei distributori e degli esercenti, che consenta un’uscita evento di qualche giorno, restringendo la window, per poter arrivare entro un breve lasso di tempo ai mercati secondari e a tutte le altre piattaforme, ottimizzando in questo modo anche le energie verso un’unica campagna di lancio.

Un altro tema riguarda la generazione più giovane, avulsa in questo momento dal sistema cinematografico classico perché maggiormente coinvolta in prodotti sostitutivi come il gaming o complementari come le serie tv. Per questo pubblico sarebbe possibile creare un cluster definito da parte dell’esercizio per invogliare la visione del film in sala attraverso un prezzo del biglietto ridotto. Allo stesso tempo queste iniziative possono essere implementate solo se anche i nuovi operatori garantiranno il rispetto delle regole. Più volte ho sentito dire che l’avvento di Netflix rappresenterà un bene per il cinema italiano. Lo spero e mi auguro che ci sia un reale coinvolgimento proattivo anche verso la produzione italiana. Guardare al mercato italiano del cinema solo attraverso un’ottica relativa ai ritorni economici sarebbe inacettabile per la nostra storia e per quello che il cinema rappresenta per il nostro Paese. Il cinema non ha paura dei cambiamenti, lo ha sempre dimostrato, ma un film, per essere tale, non può fare a meno della sala. Chi pensa alla magia del cinema ne è cosciente così come chi auspica un futuro di crescita e sostenibile, nel suo insieme, per il nostro comparto. Il resto sono solo sguardi rivolti al breve termine, senza la creazione di effettivo valore per una parte fondamentale della nostra industria e della nostra cultura».

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