Industry Book: Unicredit e Anica presentano la Bibbia del mercato

Operatori del settore, trend del mercato globale e filiera del cinema in Italia. Settanta pagine fitte di dati, statistiche, numeri e informazioni: è una vera e propria bibbia il primo Industry Book di Unicredit presentato a Roma lunedì 23 settembre insieme ad Anica, nel contesto dell’evento “Forum delle Economie: il cinema come cultura, industria e ricerca”.

ITALIA, IL MERCATO CHE RESISTE

Una ricerca ricchissima sul mercato dell’audiovisivo e sul suo futuro prossimo, che parla di un giro d’affari in Italia di circa 4 miliardi di euro con oltre 2.000 aziende attive, in prevalenza di piccole dimensioni, con un fatturato sotto ai 10 milioni di euro. Come sottolineato anche dal presidente Anica Francesco Rutelli in apertura dell’incontro, nonostante il mercato stia attraversando un periodo di forte mutamento e transizione, le imprese italiane avrebbero dimostrato di saper garantire una dinamica positiva del fatturato, con una crescita dei ricavi tra il 3% e il 6% annuo tra il 2013 e il 2017, un’elevata redditività lungo la filiera, e metriche creditizie solide (oltre il 60% delle aziende si colloca a livello investment grade – rating Centrale Bilanci). Anello debole della catena il settore delle sale cinematografiche, il cui valore si attesterebbe intorno ai 600 milioni di euro, con 300 imprese, fortemente indebolito dalla concorrenza della Tv e di internet.

UN MERCATO IN TRANSIZIONE

Ed è proprio lo studio sui nuovi player – i cosiddetti new entrants – la parte più interessante dell’Industry Book, brillantemente illustrato nel corso del convegno dalla Industry Expert di UniCredit Laura Torchio. Pur continuando a dominare il mercato dei prodotti per il cinema e la Tv, le major tradizionali si stanno confrontando con telco company, piattaforme di social media e giganti tecnologici come Amazon e Google, sempre più aggressivi nel settore dell’intrattenimento. Basti pensare agli enormi budget di produzione stanziati nel 2018 da Netflix (12 miliardi di dollari) e Amazon (5 miliardi) e al giro d’affari globale dello streaming, i cui ricavi previsti – secondo la ricerca – raddoppieranno nel prossimo quinquennio, raggiungendo un valore stimato di circa 129 miliardi di dollari al 2023. Per quanto riguarda i mercati maggiormente coinvolti dalla trasformazione, la ricerca è tranchant definendo la strategia degli OTT come una vera e propria “campagna acquisti”. Se gli Stati Uniti restano il mercato dominante, con un fatturato che dovrebbe toccare i 48 miliardi di dollari nel 2023 – pari al 37% delle entrate mondiali del settore OTT – la piazza statunitense sarebbe ormai satura di operatori, con oltre 200 OTT provider attivi. Ecco allora diventare una realtà l’espansione all’estero, in Europa e soprattutto in Cina, secondo mercato OTT al mondo con le maggiori potenzialità di crescita. Tra il 2018 e il 2023, infatti, la Cina triplicherà le entrate da servizi di streaming, la cui offerta ha già oggi superato quella dei canali tradizionali. Trainato dalla grandissima copertura di internet in 5G, lo sviluppo delle piattaforme OTT in Cina alimenterà l’incremento della market share dei titani dello streaming orientale (Tecnent, iQiyi di Baidu2, Youku di Alibaba) che possono avvantaggiarsi dell’esclusività sul “loro” mercato.

I BIG THREE

Interessante anche il focus proposto dallo studio sui cosiddetti “Big Three” dello streaming mondiale: Netflix, Amazon Prime e Hulu. Ogni provider adotta diverse strategie per conquistare fette crescenti di nuovi abbonati, che rappresentano la variabile in base alla quale poter programmare i piani di investimento. Se i big mondiali dello streaming (Netflix e Amazon) mirano allo sviluppo di un numero crescente di contenuti originali, i tradizionali media player in Italia (come Sky e Mediaset) propongono proprie piattaforme online (Now Tv e Infinitiy) su cui offrire il proprio catalogo, mentre i nuovi player più piccoli (per esempio Chili) cercano di posizionarsi sul mercato attraverso un’offerta differenziata rispetto ai leading player. La strategia di Netflix, con 139 milioni di abbonati e una presenza globale in 190 Paesi, punterebbe sempre più sullo sviluppo di contenuti propri, rispetto all’acquisto di licenze da terzi. Netflix può così lavorare direttamente con la comunità creativa e possedere la proprietà intellettuale delle produzioni, con conseguente titolarità dei diritti globali di distribuzione e maggior controllo commerciale. A fronte di un crescente interesse per investimenti nel cinema “locale”, la sua distribuzione avviene esclusivamente online, anche se nel corso dell’ultimo anno ha attuato un cambio di strategia, iniziando a distribuire film anche sul grande schermo. Quanto ad Amazon (100 milioni di abbonati per una presenza globale in oltre 200 Paesi), la sua strategia è quella di un’accelerazione verso produzioni originali, con attenzione crescente per produzioni “locali” specialmente in UK, Germania, Spagna, India, Giappone e Italia. Alto l’interesse di Amazon per il cinema indipendente, anche se la necessità di ampliare la base di clienti Prime starebbe orientando le strategie della divisione cinematografica, Amazon Studios, anche verso produzioni più commerciali. A differenza di Netflix, Amazon distribuisce i film anche in sala, con un piano di acquisizione di catene di cinema per aumentare il controllo sull’intera filiera dei contenuti prima del passaggio online. Per entrambi i player, infine, il target di riferimento è lo stesso: la cosiddetta Gen Z, nativi digitali che hanno vissuto da sempre in un mondo iperconnesso, capaci di guardare tra le 2 e le 4 ore di YouTube e meno di un’ora al giorno di Tv tradizionale.

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