Dinoia, autori e produttori rischiano poco

Come sta il cinema italiano? Qual è il suo stato di salute? Il tema è stato affrontato ieri presso la sede Agis di Roma durante il convegno “Dica: 33” – consulto sul cinema italiano, organizzato dal Sindacato Italiano Critici Cinematografici Italiani e Federazione Italiana Cinema d’Essai. “Guardando i dati di questo inizio anno – ha dichiarato Franco Montini, presidente SNCCI e coordinatore del convegno – è indubbio che il cinema italiano stia vivendo un momento di difficoltà. Basti pensare che la quota di mercato di questo primo trimestre è scesa al 21%, rispetto a quel 49%, seppur influenzato da Quo vado? e Perfetti sconosciuti, segnato nell’analogo periodo dello scorso anno”. I nuovi canali di intrattenimento e la loro presa sul pubblico italiano sono stati invece al centro dell’intervento del produttore Riccardo Tozzi: “Le pay tv e le nuove piattaforme stanno producendo una rivoluzione di cui tutti noi dobbiamo capire la portata. La serialità ha infatti creato un pubblico selezionato, grazie a una originalità e una qualità sempre maggiori. Parlare dei problemi del cinema italiano pensando solo alla nuova legge, trascurare la qualità del prodotto ignorando quello che succede intorno ci fa perdere il punto di vista della questione. I numeri sono chiari, in tre anni abbiamo perso la metà del pubblico che va in sala a vedere le opere italiane”. A rappresentare l’esercizio, in particolare quello che opera sul cinema di qualità, è stato Domenico Dinoia, presidente Fice: “C’è poca voglia di rischiare da parte degli autori e dei produttori, si preferisce appiattirsi su un genere come quello della commedia trascurando film che affrontano tematiche diverse e spesso più originali. Persiste inoltre il problema della distribuzione di questi film, cosa che non accade per i titoli stranieri, che trovano meno difficoltà ad avere spazio in sala”. Il critico Fabio Ferzetti ha elencato una serie di sintomi di crisi del cinema italiano: “Troppe opere prime, molte inutili; produttori che non rischiano perché guadagnano a prescindere dall’esito del film; troppi film senza alcuna ragione d’essere, né artistica né di mercato, e capacità di arrivare al pubblico; scarsa presenza sui mercati stranieri (l’84% degli spettatori dei film italiani arrivano dall’Italia)”. Il punto di vista autoriale è stato esposto dal regista Daniele Vicari, in sala con il suo film Sole cuore amore tra qualche settimana. “Dal mio punto di vista – ha sottolineato – uno dei problemi principali è la mancanza di solidarietà tra le parti della filiera. Autori, esercenti, distributori, produttori: invece di restare sulle nostre posizioni dovremmo fare sistema. Restare fermi non fa altro che indebolirci nei confronti delle cinematografie straniere”. 
Tra i numerosi interventi dalla platea, da segnalare quello di Andrea Occhipinti (presidente dei distributori Anica), che ha lamentato “la scomparsa del passaparola, i troppi film inutili che confondono il pubblico, un processo di scrittura poco curato rispetto all’estero dove una sceneggiatura viene riscritta tante volte”; e di Francesca Cima (presidente dei produttori Anica), preoccupata per la confusione tra cinema industriale e di ricerca, perché “per una questione di linguaggio non può essere lanciato e gestito con gli stessi criteri della commedia di successo, ma deve essere protetto e aiutato a costruire un rapporto con il pubblico”.

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