Cover Story: Paolo Del Brocco, l’uomo del cinema italiano

Nel triennio 2020-2022, Rai Cinema ha tenuto in piedi l’industria nazionale con un investimento di 240 milioni di euro, collezionando numerosi riconoscimenti. Ora l’amministratore delegato della società pubblica è reduce da un anno record e, mentre si avvicina la scadenza del suo mandato, confida in un futuro che poggia su una squadra consolidata e su una strategia di lungo periodo

Di seguito un lungo estratto della cover story dedicata a Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, pubblicata su Box Office del 15-30 aprile 2023 (n. 5). Per leggere il testo integrale clicca QUI, oppure scarica la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonati direttamente alla versione cartacea della rivista.

Le cifre parlano da sole. Il 2022 è stato un anno record per Rai Cinema, con un margine commerciale diretto di 22 milioni di euro. E nel triennio 2020-2022, la società pubblica guidata dall’amministratore delegato Paolo Del Brocco ha investito ben 240 milioni di euro a sostegno di un’industria fiaccata dalla pandemia, incrementando anche il numero di film coprodotti. Per il manager – vicino alla scadenza del suo mandato – il futuro del gruppo non è mai stato così solido, in quanto poggia su una squadra consolidata e su una strategia lungimirante.

Che anno è stato quello trascorso per Rai Cinema? 
«È stato un anno ricco di soddisfazioni. Una presenza rilevante ai Festival di Berlino, Cannes, Locarno, i 24 titoli di cui 4 in concorso a Venezia (tra cui i film Il signore delle formiche,  Chiara,  Monica, The Son,  In viaggio, Ti mangio il cuore, Princess, Margini, ndr), i 25 titoli alla riuscita edizione della Festa di Roma che ha accolto titoli prestigiosi come Il colibrì e La stranezza, vincitori del biglietto d’oro, e L’ombra di Caravaggio, venduto in 30 paesi. E poi i moltissimi David, tra i quali spicca quello di miglior produttore per Freaks out (è l’ottavo per Rai Cinema negli ultimi 10 anni, ndr), il David e l’Oscar Europeo come opera prima a Piccolo corpo; il nastro d’argento ai doc La bella stagione e La generazione perduta. Tra i film internazionali il bellissimo The Fabelmans di Spielberg, vincitore ai Golden Globe. Senza dimenticare che i film da noi coprodotti arrivano poi sulle Reti Rai: nel 2022 ben 57 prime serate dei 3 canali generalisti, e sull’intera giornata ben 609 film e 254 documentari. Siamo stati onorati della presenza del Presidente Mattarella all’anteprima di Dante di Pupi Avati e alla proiezione privata al Quirinale de La stranezza, e dell’udienza privata con Papa Francesco a seguito del film In viaggio di Rosi, in onda su Rai Uno il Venerdì Santo. A questo si aggiunge l’attività dalla nostra piattaforma Rai Cinema Channel, spazio cruciale per la valorizzazione di tutte le nostre attività e la promozione dei migliori cortometraggi italiani. Siamo stati i primi a lanciare un’app VR tutta italiana e un network di cinema VR all’interno di musei e di luoghi di cultura. Grazie alla partnership culturale con TikTok abbiamo portato la numerosissima community di appassionati dietro le quinte dell’ultimo Festival di Venezia. Primi anche ad aprire uno spazio completamente dedicato al cinema nel metaverso con i protagonisti dei nostri film come Diabolik e Dante. E poi grande attenzione al sociale, con i corti VR dedicati a Telethon, e il corner VR all’interno dell’Ospedale Bambino Gesù».

E i risultati in termini economici?
«Ottimi e superiori alle aspettative. Il 2022 è stato un anno record, il migliore della nostra storia ventennale, con un margine commerciale diretto (il vero contributo al bilancio consolidato Rai) di 22 milioni di euro, che ha segnato un più 120% rispetto al budget: un risultato notevole poiché ottenuto in un contesto difficilissimo grazie ad una efficace azione commerciale sui mercati e sulla filiera. Nell’ultimo triennio il margine complessivo è stato di 60 milioni di euro, dopo aver rigirato quasi 40 milioni di marginalità ai produttori indipendenti. Proprio la continuità nella gestione della società negli anni ha consentito di raggiungere questi risultati grazie ad una attenta pianificazione pluriennale e alla costruzione di un solido rapporto di fiducia con il mercato e l’industria. Grazie anche alla fortissima coesione del Vertice Aziendale e di una formidabile squadra che lavora con passione a beneficio del nostro comparto».

Da tempo si parla di un numero di film eccessivi prodotti nel sistema italiano. Come si colloca Rai Cinema? Cosa prevedete per il futuro?
«Come ho avuto già modo di dire pubblicamente è un argomento controverso dove tutti hanno torto e tutti hanno ragione. Siamo arrivati a numeri effettivamente elevati. Probabilmente la legge cinema, seppur virtuosa, ha creato degli squilibri su cui sarebbe opportuno fare un’analisi senza giudizi frettolosi. Non credo al grido “facciamo pochi film, molto grossi e molto costosi”. Sarebbe sicuramente più facile, ma così facendo tra 5 anni non ci sarebbero nuovi talenti e produzioni indipendenti. Durante la pandemia ci è stato chiesto di dare tutto il sostegno possibile all’industria, aumentando il numero di film coprodotti. Lo abbiamo fatto contribuendo nel triennio 20/22 a realizzare 207 film, di cui 105 opere prime e seconde, 103 documentari, collaborando con circa 190 partner produttivi e 324 registi (di cui 80 registe), investendo 240 milioni di euro. Abbiamo svolto una funzione di stimolo economico industriale rilevante. Ma l’emergenza è passata e, visto il ridotto livello di assorbimento del mercato e l’aumento dei costi produttivi, sarà fisiologica una riduzione del numero dei film per raggiungere un livello di produzione sostenibile nel tempo. Senza esagerare, perché all’interno del numero dei film prodotti da Rai Cinema c’è l’attuazione concreta del concetto di pluralismo produttivo e del sostegno ai produttori indipendenti. Da quando dirigo Rai Cinema hanno lavorato con noi oltre 450 società, piccole medie e grandi. La domanda allora è questa: se non è il servizio pubblico a sostenere l’industria del cinema italiano, guardando anche alle piccole produzioni, ai giovani autori e autrici, alle storie forse anche meno commerciali ma fortemente significative, chi altro potrà farlo?»

La chimera (co-prodotto da Rai Cinema)

Rispetto alle opere prime, quindi, continueranno ad avere spazio anche in futuro nella linea editoriale di Rai Cinema?
«Le opere prime e seconde costituiscono una parte fondamentale della nostra mission, una linea che racchiude in sé il senso stesso della sperimentazione e della ricerca. Solo così è possibile scovare le energie e i talenti di cui l’industria ha bisogno. E in questo senso abbiamo una maggiore responsabilità rispetto agli operatori privati. Ne abbiamo in cantiere un numero significativo tra talent affermati che si cimentano con il loro primo lavoro e giovani autori, molti dei quali donne, che percorrono in molti casi il genere tra sperimentazione e innovazione.  Va solo evitata una proliferazione incontrollata dovuta a convenienze produttive».

E invece per quanto riguarda registi già affermati cosa avete nell’anno in produzione?
«Rai Cinema rimane la casa del cinema di qualità con progetti anche da budget importanti e storie più larghe e mainstream. Cerchiamo di proporre un cinema in cui il racconto è centrale, non necessariamente autoriale e fine a se stesso, una sorta di romanzo per immagini».

Come è stato il 2022 per la sala e come immagina il 2023? Cosa accadrà al theatrical?
«Gli incassi sono incoraggianti ma non rassicuranti. Crescono nel 2022 dell’81% rispetto al 2021 ma subiscono ancora una contrazione di circa il 50% rispetto al periodo pre-pandemico. I blockbuster americani sono garanzia di successo, così come i film di Natale. I grandi film italiani di qualità hanno avuto dall’autunno in poi risultati promettenti. È da qui che si deve partire per soddisfare un pubblico molto più esigente e selettivo che in sala cerca un prodotto diverso, più ricco dal punto di vista produttivo e che possa trarre valore aggiunto dalla visione sul grande schermo». 

Marco Bellocchio sul set di Rubato (co-prodotto da Rai Cinema) (foto di Anna Camerlingo)

La proposta che ha portato avanti con Letta per la finestra di 180 giorni è ancora attuale?
«La nostra proposta non era limitata alle sole finestre, come qualcuno ha voluto strumentalmente comunicare, ma conteneva un insieme di suggerimenti: un prolungamento del tax credit alla distribuzione (peraltro avvenuto), una rimodulazione del tax credit produttivo rispetto alla destinazione del film e infine, l’acquisizione di un numero predeterminato di film già usciti in sala da parte delle piattaforme. Il nostro intento era quello di avviare una discussione. Tematica peraltro raccolta dal Parlamento che si è espresso molto chiaramente sul valore sociale del cinema in sala (consiglio di andare ad ascoltarla sul sito del Senato). Credo ancora che sia necessaria una finestra di esclusività per il theatrical per tutti i film. Quanto debba essere lungo il periodo è un tema da rimettere al decisore. L’importante è che ci sia una regola chiara, netta, per tutti. La gente non deve percepire che è inutile andare in sala perché può vedere il film dopo pochi giorni su una piattaforma. In Francia la finestra di protezione è di 15 mesi. Si può anche immaginare un sistema di windows più evoluto e dinamico prendendo spunto da quello inglese. Proviamoci, se poi non serve si può facilmente tornare indietro».

E il regolamento di attuazione delle quote obbligatorie di investimento dei broadcaster a che punto è?
«Un altro punto di forte attenzione. Contrariamente a quanto possano pensare in buona fede i produttori, per il principio di proporzionalità, limitare i diritti quantitativamente e temporalmente comporterebbe una minore flessibilità nella fase di negoziazione. Assisteremmo presumibilmente ad una parcellizzazione dei valori unitari dei diritti comportando una riduzione dell’investimento sul singolo film. Credo che questo non faccia il bene della produzione e possa mettere in grossa difficoltà anche noi. Siamo ancora in una fase di dibattito per cui è aperto un tavolo ad hoc e stiamo lavorando con Anica e MiC per trovare un punto di incontro». 

Il ruolo delle piattaforme e la sala. Si arriverà ad un equilibrio?
«Chiarito che il ruolo delle piattaforme è fondamentale oggi per l’industria, e ribadita allo stesso tempo l’importanza della sala, credo che un punto di incontro si andrà a delineare in concertazione tra le esigenze di tutti. Il pieno sfruttamento della finestra theatrical non va contro gli interessi delle piattaforme e, anzi, un lancio vero del film al cinema permette di potenziare l’opera cinematografica, amplificandone il potenziale e consolidando aspetti, come lo star system, essenziali per tutta l’industria. Scorgo segnali positivi anche dagli Stati Uniti. Occorre guardare con interesse ed attenzione agli equilibri che si andranno a delineare nei prossimi mesi». 

Che tipo di segnali? 
«L’ultimo trimestre 2022 ha registrato la perdita per tutte le piattaforme streaming che iniziano ad affrontare qualche difficoltà. La prima criticità riguarda la teoria della crescita continua su cui questi business si basano. Molti dei Ceo che hanno cavalcato il momento pandemico pensavano che la platea degli utenti potesse superare i 500 milioni nel mondo, arrivando addirittura a un miliardo secondo Kilar, l’ex CEO Warner Media. I numeri nel 2022 ci dicono che…

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