Il marketing riflette sul marketing

I responsabili della comunicazione di alcune case di distribuzione cinematografiche rispondono agli stimoli e alle provocazioni dei creativi Francesco Bozza di Grey Italia e Giuseppe Mastromatteo di Ogilvy Italia (pubblicate nello scorso numero di Box Office) e raccontano la loro visione sul lancio dei film in sala, mettendo sul tavolo le proprie esperienze e peculiarità

Di seguito l’articolo pubblicato su Box Office del 15-30 marzo 2023 (n. 5). Per scaricare l’intera rivista clicca QUI, oppure scarica la versione digitale dall’app di Box Office su Google Play e App Store, o abbonati direttamente alla versione cartacea della rivista.

Nell’ultimo numero di Box Office (n. 3/4 del 15-28 febbraio 2023) abbiamo intervistato due affermati creativi contemporanei, Francesco Bozza di Grey Italia e Giuseppe Mastromatteo di Ogilvy Italia (qui un estratto), che hanno provocato il settore cinematografico invitandolo a sviluppare campagne più incisive e originali. In particolare, i due hanno sottolineato un concetto in cui credono fermamente, ovvero che nella comunicazione non comanda il budget, bensì l’idea. E nel dialogo non sono mancate affermazioni forti. Del resto i toni e le riflessioni personali di Bozza e Mastromatteo avevano proprio questo intento: lanciare un sasso che potesse aprire un dibattito costruttivo. Così, a un mese di distanza dall’intervista, abbiamo raccolto il parere di alcuni direttori marketing che hanno “risposto per le rime” ai due creativi, esprimendo la loro visione sulla comunicazione e mettendo sul tavolo le proprie esperienze e peculiarità.

MARKETING SIGNIFICA SOLUZIONI “SU MISURA”

PARLA SONIA DICHTER, RESPONSABILE MARKETING DI 01 DISTRIBUTION

«Ho letto i giudizi così tranchant dei due creativi Francesco Bozza e Giuseppe Mastromatteo sul lavoro svolto dal marketing per il lancio dei film italiani, con sorpresa e – non nascondo – con un po’ di irritazione. Su qualcosa mi sono trovata d’accordo, come ad esempio l’opportunità di attivare partnership più strategiche con l’esercizio, al fine di sfruttare al meglio ampi spazi inutilizzati. Per il resto, dire che spesso ci si limiti a investire solamente sul trailer è una visione parzialissima del nostro lavoro, in cui studiamo soluzioni “su misura” con budget, tempistiche, dinamiche e interlocutori molto diversi da quelli che regolano le campagne per i film americani (che molto spesso sono messe a punto dalle “case madri” e che hanno una portata globale). Peraltro, le campagne citate – a loro parere virtuose, al di là del risultato modesto al box office italiano – sono state fatte per film che partivano da un grado di notorietà “di brand” piuttosto elevato (Ghostbusters e Baywatch), e per i quali non è stato necessario costruire da zero una conoscenza presso il pubblico, come quasi sempre accade per i film italiani. Mi sembra, insomma, un confronto tra mele e arance, per usare appunto un’espressione americana. Stesso mondo, ma prodotti completamente diversi. Sono d’accordo sull’importanza della creatività, anche se lo slogan “non comanda il budget ma l’idea”, seppur di appeal, mi sembra superficiale. Tornando agli esempi citati, quando si spendono 5-6 milioni di euro per uno spazio di 30” durante il Super Bowl l’idea può essere anche a costo contenuto, ma l’operazione non lo è. Bozza e Mastromatteo hanno poi sottolineato la maggiore creatività nei lanci (che immagino comunque sostenuti da budget importanti) delle piattaforme streaming; non dobbiamo dimenticare che per ogni film lanciato in grande stile ce ne sono tanti altri che entrano in catalogo praticamente senza campagna di comunicazione, diventando invisibili. Se alla fine, quindi, la soluzione è affidare una campagna a un’agenzia dell’importanza di quelle per le quali lavorano i due creativi, trovo difficile sostenere che il budget non conti. Vorrei terminare con una provocazione: perché Bozza e Mastromatteo non scelgono un prodotto “medio” del nostro listino – evitiamo casi più complessi come film di nicchia – e provano a lanciarlo? Siamo sempre alla ricerca di un’idea dirompente che “costa due euro”. Sarebbe insomma interessante avere un confronto: così come loro non conoscono bene il nostro mondo, forse neanche noi conosciamo bene il loro».

OGGI LA COMUNICAZIONE È DATA DRIVEN

PARLA FEDERICA DIOMEI, DIRETTORE MARKETING THEATRICAL DI EAGLE PICTURES

«A differenza di altri prodotti merceologici, il cinema è già in possesso di un suo storytelling. E se questo da un lato può essere di grande aiuto, dall’altro lato vincola inevitabilmente le campagne marketing a un concept ben preciso. Spesso, infatti, ci vengono sottoposte idee bellissime che, però, raccontano altro rispetto al nostro prodotto e rischiano di rappresentare solo un percorso narrativo alternativo al film e di distogliere l’attenzione da esso. Poi certamente la creatività è la vera moneta del marketing e l’arma principe per raggiungere il grande pubblico, a maggior ragione quando il budget a disposizione è ridotto. Ma in linea generale credo vada fatta una distinzione tra il lancio di una local production e la campagna di un film di una major americana. Sono due procedimenti radicalmente differenti, che tra l’altro partono da prodotti completamente diversi. Le campagne italiane dei film delle multinazionali poggiano su campagne internazionali, che spesso inglobano e replicano a livello globale anche suggestioni, idee ed executions dei singoli Paesi. Le franchise, poi, hanno un percorso tutto loro, in quanto gli appassionati attendono con trepidazione il trailer e le immagini del nuovo capitolo della loro saga preferita. Specialmente il trailer rappresenta uno strumento fondamentale, talmente importante che anche le serie Tv lo hanno adottato come elemento cardine nelle loro strategie di lancio.  Le campagne dei film italiani, invece, sono più complesse. Sia perché è un prodotto distante da quello americano (negarlo sarebbe miopia), sia perché quando si lancia una produzione nazionale, le campagne (posizionamento del film, individuazione del target e dei pillar, realizzazione dei materiali creativi) sono frutto di una negoziazione complessa fra distributori, produttori e registi. Inoltre, il lavoro e la strategia messa a punto per un film non valgono per un altro titolo. Ad ogni modo, quello che fa la differenza nel lancio di un film è sempre il film stesso.  In linea generale, negli ultimi anni gli investimenti pubblicitari hanno penalizzato la televisione, per concentrarsi su digital, outdoor e sulle attività stunt che sottolineano lo status di evento di un film. Allo stesso tempo, però, il marketing ha continuato a evolversi, passando da un approccio più muscolare a un marketing data driven, estremamente preciso e strategico». 

MAI SOTTOVALUTARE UN TRAILER DI APPEAL

PARLA ANDREA LAZZARIN, DIRETTORE MARKETING DI MEDUSA FILM

«Nelle riflessioni di Francesco Bozza e Giuseppe Mastromatteo noto tanti luoghi comuni che sembrano legati all’approccio dei creativi di pensare alla comunicazione più con lo sguardo rivolto ai festival di pubblicità che al successo del prodotto di cui parlano. Spesso osservo uno scollamento tra la bontà di certe iniziative spettacolari, volte a creare hype, e il ritorno reale di queste attività che non sempre si traducono in risultati positivi al box office. Lo dimostrano bene le iniziative citate di Ghostbusters e Baywatch, che non hanno certo determinato il successo di questi titoli in sala. Anche noi con Supereroi di Paolo Genovese abbiamo lavorato con l’agenzia Armando Testa e il cantautore Ultimo, che aveva realizzato una bellissima canzone per i titoli di coda del film. Con l’agenzia abbiamo organizzato una vera e propria produzione, realizzata in una periferia torinese, dove Ultimo cantava al pianoforte una serenata a una coppia quasi centenaria, la più longeva d’Italia, con 74 anni di matrimonio alle spalle. E nonostante la campagna virale fortissima, una copertura stampa con servizi nei Tg di prima serata, il film è stato una delusione al box office che ancora ricordiamo dolorosamente.
Sicuramente i film vanno eventizzati, ma ritengo che i pilastri su cui poggia una campagna siano altri, come la corretta individuazione del target di pubblico e la creazione di materiali promozionali che rispettino la cifra stilistica del film. Ma soprattutto, inviterei a non sottovalutare l’impatto del trailer sul pubblico. Se dovessi scegliere tra realizzare un grande evento che crei hype, e costruire un trailer di appeal, sceglierei la seconda opzione. Credo che i creativi sottovalutino il fatto che lo strumento migliore per vendere un film sia il film stesso. Non abbiamo (sempre) la necessità di inventare una storia intorno al prodotto. Diversamente da altri mercati, non dobbiamo creare per forza dei branded content utilizzando creators o influencers. Se si applica sempre questa strategia in ambito cinematografico, si corre il rischio di concentrare risorse che potrebbero essere investite più efficacemente in altre direzioni. Detto questo ogni film fa storia a sé, ed è molto difficile stabilire regole che valgano per tutti i prodotti». 

NON ESISTONO AUTOMATISMI

PARLA LAURA MIRABELLA, DIRETTORE MARKETING E COMUNICAZIONE DI VISION DISTRIBUTION

«L’aspetto più stimolante del nostro mestiere è che non ci sono automatismi, ogni volta bisogna porsi delle domande per cucire una campagna su misura in funzione del tema, dei personaggi, dei volti e delle potenzialità dei materiali che riusciamo a costruire. Quando sono entrata nel mondo del cinema ho notato un particolare attaccamento a meccanismi consolidati di comunicazione, per questo dapprincipio ho focalizzato la mia attenzione sul mantenere un approccio fresco, mutuato da altri mondi. Nel tempo, però, ho compreso anche il valore della tradizione e del rispetto di linguaggi e mezzi che sono ormai peculiari per un certo settore. Come ci insegnavano i latini, la verità sta nel mezzo. Non ci sono dogmi e non sempre è corretto espandere i contenuti o diversificare i mezzi, solo per il gusto di innovare. Per alcuni film, ad esempio, il trailer può davvero essere l’unico materiale che restituisce senso e verità alla storia che dobbiamo portare in sala. Questo è particolarmente vero quando si tratta di un film di grande levatura artistica perché, andando a giocare troppo con contenuti extra o campagne unconventional, si rischia di abbassarne la percezione della qualità. Il prodotto va trattato con grande rispetto, come succede ad esempio nel mercato del lusso, perché è un’opera dell’ingegno. Ci sono altri casi, invece, in cui si può lavorare su uno storytelling che si allontani dai contenuti originali, attraverso la creazione di un percorso dialettico con il pubblico, cercando di incuriosirlo e attirarlo attraverso la creazione e il rilascio di contenuti alternativi, che lo avvicinino al tema, ne facciano conoscere i personaggi, costituiscano un “assaggio” del film. In ultima analisi, la campagna di comunicazione di un film si basa su una scelta strategica che deriva da come e quanto la storia, i personaggi e i temi che tratta si prestino ad un confezionamento o richiedano il rispetto di un linguaggio e di un trattamento specificatamente costruito per quel film. Non si può dimenticare infatti che, a differenza di altri mercati, il cinema ha a che fare con un “prodotto parlante”. Il packaging nel nostro caso richiede la costruzione di uno storytelling: se il regista ha fatto determinate scelte stilistiche siamo poi chiamati a rispettarle, non si può stravolgere tutto modificando senza discrezione la natura stessa del film. Di fatto si stringe un patto silenzioso con lo spettatore che si aspetta che quanto promesso dai materiali promozionali e dalla campagna venga poi mantenuto una volta in sala».

LA CREATIVITÀ DEVE ESSERE COERENTE CON IL PRODOTTO

PARLA ANDREA VIDONI, VP MARKETING & CONSUMER PR ITALY & IBERIA DI WARNER BROS. DISCOVERY

«Ho sempre accolto con piacere qualunque riflessione esterna sul tema della creatività come spunto per migliorare ulteriormente il livello delle campagne nel mondo del cinema. Considero, infatti, la creatività una conditio sine qua non per chi deve impostare una campagna. Personalmente non vedo uno scontro diretto tra media e creatività, in quanto sono entrambi due ingredienti necessari, ed è evidente che quando hai un’ottima creatività, coerente con il posizionamento, il media viene subito valorizzato. In Warner Bros. Discovery abbiamo la fortuna di pianificare le campagne a stretto contatto con un gruppo eterogeneo di professionisti appartenenti a territori diversi, principalmente Emea e Stati Uniti, con cui siamo sempre allineati. Di conseguenza, non solo quanto accade in Italia e Spagna è coerente con il resto del mondo, ma spesso da questi due Paesi nascono importanti case history che sono fonte di ispirazione anche per altri territori. Relativamente alla creatività in senso stretto, vorrei sottolineare due aspetti. Innanzitutto, che la creatività spesso esplode quando esistono dei “limiti”, ad esempio quando bisogna lanciare prodotti simili alla concorrenza, magari in ambito tecnologico, automobilistico o del largo consumo. In questi casi l’agenzia creativa e il team marketing possono davvero fare la differenza. Quando si tratta di cinema, invece, ci si trova a promuovere un prodotto che è già un’espressione artistica e bisogna essere abili nel costruire una creatività coerente con il prodotto stesso. Lo storytelling della comunicazione non può, infatti, essere scollato dallo storytelling del film, e molte volte il trailer si erge come mezzo privilegiato per raggiungere gli appassionati di una franchise con una solida fanbase. Il nostro pubblico vuole vedere Batman e Flash, non cerca un’idea creativa parallela allo storytelling del film. Bisogna poi fare attenzione al ritorno reale che proviene da un grande sforzo creativo: quante persone ingaggiate poi vanno davvero al cinema? Ciò che realizziamo deve essere funzionale alla frequentazione in sala. In questo senso vorrei ricordare una delle nostre recenti case history di maggior successo realizzata per il lancio di Elvis di Baz Luhrmann, quando i Måneskin hanno fatto una splendida cover di una delle più celebri canzoni di Elvis, “If I Can Dream”. Il gruppo si è esibito all’Eurovision e ha realizzato un videoclip che ha dato enorme visibilità al film, raggiungendo un’audience globale e intercettando anche il target più giovane, che meno conosce la grande rockstar degli anni 50. Per non parlare della comunicazione attorno alla saga dei Me contro Te, curata principalmente dai protagonisti Luì e Sofì. Un progetto estremamente virtuoso che ha saputo dialogare efficacemente con la fascia kids, spesso non considerata dai film live-action».

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