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Strutturale non congiunturale. È la crisi della pubblicità in Italia. In televisione e non solo. Un giudizio pesante come un macigno e netto quello espresso da Nielsen a metà gennaio sull’andamento della raccolta nel 2012. Lo stesso formulato qualche giorno prima dall’Osservatorio sulla pubblicità di Agcom. Che si è spinto a parlare addirittura di “consistente declino”. Tant’è che oggi anche quelli che speravano che appena fosse passata la piena tutto sarebbe tornato come prima, sono costretti a chiedersi: come saremo nell’immediato futuro? La domanda è legittima, necessaria, perché è certamente difficile prevedere cosa si diventerà alla fine di questo tumultuoso processo evolutivo, pur se alcune direttrici sono già intuibili. Basta sfogliare questo numero di Tivù per farsene una prima idea. A partire dall’articolo in cui ci occupiamo di listini e ascolti dei canali Dtt. Piattaforma in decisa crescita di audience, a fronte di una generalista che perde terreno ma mantiene ancora un buon 70% di pubblico. Parliamo di entità native digitali, con una loro identità, che scontano tuttavia il fatto di avere budget che rasentano il ridicolo: nel migliore dei casi, un intero anno di programmazione costa quanto uno show in prime time delle generaliste… Di conseguenza – fatte salve le dovute eccezioni – risulta risicata la quota di produzione originale al loro interno, seppur vincente (si veda alla voce Real Time), mentre in Paesi come la Francia si sta cercando di produrre per essi addirittura qualche fiction.Un mix di già visto e di mai visto, attinto da cataloghi e archivi, messo insieme a volte con originalità, altre ispirato dalla limitatezza delle risorse, ha fatto di Iris e Rai4 i due leader della piattaforma. Quindi, non risulta difficile immaginare i risultati che certi canali riuscirebbero a conseguire se solo potessero contare su investimenti meno esigui…La flessione delle risorse pubblicitarie impone un drastico cambio di paradigma, perciò – alla luce di certi dati – potenziare i canali Dtt senza svuotare le generaliste, risulta ormai per i broadcaster una via obbligata, perché è su questo fronte che ci si sta accaparrando i transfughi della vecchia tv. Allo stesso tempo risulta ormai un passaggio obbligato dover pensare ai programmi in un’ottica social, perché il web è finalmente riuscito a dare alla tv quel canale di ritorno interattivo che il Dtt vagheggiava agli inizi. In più si è scoperto che tutti i generi si prestano al suo engagement, basta solo avere la lungimiranza di non considerarlo una dependance del programma bensì un elemento integrante in grado di potenziare anche l’appeal pubblicitario del brand. In questo numero si parla inoltre delle commistioni tra canali ed editoria, un fenomeno che si sta declinando in formule e soluzioni differenti, fino a costituire per i contenuti tv un ulteriore mezzo promozionale. Rinsaldare il proprio business, puntando anche sulle attività considerate di nicchia; approfittare del web in un’ottica di complementarietà; trovare soluzioni e piattaforme alternative su cui giocare al meglio ipropri contenuti. Sono solo tre dei tanti passaggi obbligati che i broadcaster dovranno affrontare per uscire dal pantano in cui il settore si è cacciato. Perché gli spiragli in fondo al tunnel ci sono, basta solo dotarsi degli occhiali giusti per vederli.
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