ECHI DAL MERCATO ADV
I numeri sono inclementi, ma rendono bene l’idea. Nel 2017 la raccolta pubblicitaria televisiva è scesa dell’1,6% rispetto al 2016. Segno negativo per Mediaset, a -0,8%, per La7 che va oltre il -2% così come la Rai che supera il -8%. Ride solo Discovery, che sfiora il +10%, e si accontenta Sky che cresce di quasi mezzo punto percentuale. Per il 2018 non si sa ancora a che santo votarsi, ma pare che ci sia ben poco da stare allegri. Che fare allora, a parte incrociare le dita e sperare che il Paese esca definitivamente dallo stallo economico in cui si è cacciato, in modo che gli inserzionisti si sentano incoraggiati a investire? Anche perché la televisione ha ancora tante carte da giocare, basti leggere l’articolo a pagina 38 sul rapporto Global Tv Deck, per rendersi conto che – malgrado tutto – il mezzo ha mantenuto buona parte del suo appeal.
Uno degli esercizi che certi esperti suggeriscono per recuperare i ricavi perduti è di andare a “sfruculiare e sollecitare” i settori che in quest’ultimo anno hanno disinvestito in pubblicità e “tampinare” quelli che alzano la testa. Nielsen segnala per esempio che una merceologia mass market come gli alimentari ha perso rispetto al 2016 il 3,2%, scendendo al 14,9% del mercato, così come c’è stato un bagno di sangue per distribuzione (-8,5%), bevande/alcolici (-4,1%), abbigliamento (-5,1%), media/editoria (-11,7%) e toiletries (-11,5%). A crescere, piazzandosi rispettivamente al secondo e al terzo posto tra i top 10 settori, ci sono le automobili con un +1,3% (adesso è all’11,5% del mercato) e farmaceutici/sanitari con un +3,7% (6,5% del mercato). Ma anche la cura alla persona schizza al 5,1% del mercato (+4,9% su base annua). Come dire che al di là delle contingenze strutturali, chi pensa e vende la tv deve andare a cercare delle soluzioni – anche, ma non solo tariffarie – per regalare qualche ragione di investimento in più alle aziende che hanno bisogno di dare maggiore visibilità al proprio marchio e di far crescere le vendite dei loro prodotti. Sì, ma come? È “la” domanda essenziale, a cui ogni broadcaster e addirittura ogni canale, per non dire ogni fascia oraria dello stesso, deve saper rispondere a suo modo, visto che davanti alla tv il pubblico è mobile, sia nel senso di diversità di target sia nel senso che i supporti attraverso i quali fruisce di contenuti sono molteplici, sia nel senso che la platea è ormai tendenzialmente infedele. Certamente il branded entertainment si sta rivelando l’abito più adatto per vestire il factual entertainment e l’intrattenimento tout court delle tematiche, i grandi eventi (intrattenimento e fiction) sono i catalizzatori delle generaliste del servizio pubblico, l’intrattenimento seriale il motore delle concessionarie commerciali (Publitalia in primis). Ma si sente il bisogno di un ulteriore salto di qualità, in grado di trovare la quadra tra tutti questi elementi, che sappia offrire un ottimo contenuto editoriale per valorizzare i brand, così come un’intelligente offerta commerciale per spingere i prodotti, soprattutto in un momento in cui gli indici segnalano una maggiore propensione ai consumi. Insomma, la televisione deve sapere essere ancora meglio di quanto non sia già nella sostanza, rubando alla concorrenza, vedi l’online, la duttilità e la personalizzazione. Ovviamente si tratta di una sfida non facile né semplice, ma possibile. Forse indispensabile…
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