NETFLIX, IL DISTRUTTORE
Netflix arriva in Italia? Sì, no, forse. Ma come e perché? Con quali alleanze e modello di business? Le domande sulla calata nella penisola del colosso dell’intrattenimento online punteggiano ormai da mesi le chiacchierate tra gli operatori dell’audiovisivo nazionale, per evidenziarne gli eventuali rischi e criticità (per i broadcaster), piuttosto che le opportunità (per i produttori). Da quando l’amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano, ha confermato i dialoghi in essere con la società californiana, l’orizzonte si è fatto più concreto, anche se rimangono ancora tutti da sciogliere i nodi relativi al gap tecnologico della rete che non avrebbe la banda necessaria a veicolare in streaming su tutto il territorio nazionale (alcuni sostengono neanche in gran parte di esso…) i contenuti di Netflix, unitamente a quelli di Sky, con cui ha in essere una partnership, e a quelli di Mediaset con la quale ha ammesso di avere aperto un tavolo di trattative. Sia come sia, non considerando per un attimo il non irrilevante gap della rete, se Netflix arrivasse in Italia con tutti i crismi con cui opera altrove (ma ricordiamoci che la frammentaria e multilingue Europa non è gli Usa), gli operatori della tv pay dovranno cominciare a porsi un problema di strategie complessive perché, come ha fatto notare Mattia Ferraresi su Il Foglio, «la vocazione alla distruzione dei mercati preesistenti è scritta nel codice genetico di Netflix, che si afferma nella misura in cui trova pertugi di libero mercato per infiltrarsi e rovesciare il sistema». Ecco, bisogna dire che di pertugi ce ne sono diversi nel nostro Paese, anche se il mercato, spesso per complicanze politiche, altre volte per opacità industriali, appare a tratti poco libero. Ma tant’è… Però, alla fine, bisogna augurarsi o no che Netflix approdi nella penisola? Se si considera la cosa dal punto di vista degli operatori nazionali, no. Perché una società straniera quotata quasi 30mld di dollari verrebbe sotto il profilo editoriale a vincere facile in un mercato stremato dalle varie spending review che hanno segnato la produzione di contenuti locali. Solo per dirne una: nel giro di cinque anni gli investimenti nella fiction nazionale si sono dimezzati. In più Netflix produce a livello globale, quindi presumibilmente nel nostro Paese arriverebbero solo le briciole delle briciole degli oltre 4mld di euro che intende investire nella produzione di show. Ma ciò, si faccia mea culpa, si deve anche e soprattutto a una nostra precisa e reiterata ignavia industriale… Sotto il profilo dell’utenza invece l’arrivo di Netflix sarebbe il benvenuto, perché avrebbe un costo accessibile a fronte di un’offerta – almeno sulla carta – di grande livello. Certo, i punti da considerare sono ancora diversi – vedi la nota allergia degli italiani ai pagamenti online – ma la persistente crescita del commercio elettronico nel nostro Paese la dice lunga su quali potranno essere gli scenari a venire. In più, una cosa va detta però ai player nazionali: che confidare nei limiti altrui anziché puntare sui propri plus, alla lunga non ha mai portato bene a nessun business, e che da sempre stare sulle difensive non ha evitato l’ineluttabile.
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