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Non bisogna avere un’intuizione particolare per accorgersi che questo numero di Tivù vanta una spiccata disposizione per il digitale terrestre. Servizi che ne illustrano lo stato dell’arte, la cover story che approfondisce l’attività di un editore indipendente italiano (Switchover Media) all’interno della piattaforma, un allegato speciale che dipana la panoramica editoriale dell’offerta. In più, alcuni approfondimenti e rubriche fanno il punto su quanto sta succedendo su vari fronti, dalle emittenti locali all’insuccesso di Dahlia Tv. Il perché è presto detto: quelli a venire saranno mesi cruciali per lo sviluppo strategico del settore. In cui si comincerà a capire se Mediaset sia realmente l’unico operatore (monopolista?) in grado di mettere in campo un’offerta pay degna di questo nome; se alle locali sarà concessa la facoltà di operare anche come operatori di rete per contenuti nazionali, favorendo così la rimessa “in circolo” di quella banda che potrebbe consentire l’ingresso di altri player; se Sky potrà partecipare al beauty contest o meno e così diventare un soggetto competitivo sul fronte (almeno per ora) dei canali free. Per non parlare del fatto che proprio in queste settimane si dovrebbe decidere se anticipare al 2011 lo switch-off totale rispetto allo spegnimento previsto per fine 2012. Si tratterebbe – almeno per DgTvi – di inseguire un primato digitale tutto italiano, ma che – nelle obiezioni degli oppositori – rischia di lasciare sul terreno più morti e feriti del previsto. Tutti nodi da sciogliere in fretta e con chiarezza, ma nell’insieme ci sarebbero anche altre priorità da affrontare. Tra queste, il nodo rappresentato dal fatto che il Dtt deve ancora dimostrare di saper esplicare la sua vocazione “plurale”: Rai e Mediaset hanno fatto un buon lavoro, ma mancano all’appello altri contributi – come quelli dei canali RealTime, K2, Frisbee e Cielo – che sappiano rappresentare un reale pluralismo editoriale. Onde evitare che il settore si avviti sulle solite dinamiche, riproponendo gli stessi contenuti e schemi produttivi che hanno finito col prevalere nel duopolio analogico, bisogna favorire anche l’attività di altri operatori in grado certo di essere latori di un’offerta di contenuti di qualità, ma anche in quanto portatori sani di logiche economiche differenti. E da questo quadro non possono chiamarsi fuori gli investitori pubblicitari e i centri media che, presto (entro il 2011) o tardi (entro il 2012), dovranno rassegnarsi a fare i conti con un’Italia tutta digitale, e con una più accentuata polverizzazione delle audience. Certo, il loro mestiere si complica – come quello di tutti gli operatori impegnati nel medium televisivo, del resto –, ma si ha la sensazione che non stiano facendo abbastanza per parametrare al meglio l’era multicanale. Infatti, gli investimenti sui canali tematici aumentano, ma non in rapporto alla quantità e, soprattutto, alla qualità dei target. Ora che l’IpTv si appresta a diventare quanto meno un’opzione aggiuntiva per la fruizione di contenuti televisivi (vedi Cubo Vision, Mediaset Premium Net Tv e l’accordo Fastweb-Sky), e il mobile telefonico ha smarrito del tutto la spinta innovativa mentre l’iTv (i contenuti audiovisivi fruibili sugli apparati Apple e non solo) diventa ogni giorno sempre più una possibilità, è arrivato il momento di capire che il modello analogico è ormai perdente non solo sul piano tecnologico, ma anche su quello industriale. E che prima lo si capirà, prima il mercato televisivo italiano scongiurerà il rischio di impantanarsi.
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