L’insoddisfazione che muove noi e il mondo

Riflettevo in questa estate assolata, dopo aver letto i risultati di una ricerca secondo cui gli italiani sono scontenti della loro qualità della vita, al punto da situarsi a un livello inferiore alla media europea, su come l’insoddisfazione o, se si vuole, la sua versione speculare, la soddisfazione, sia un’arma a doppio taglio. Perché se è vero che ognuno di noi è mosso dal proprio desiderio di vedere soddisfatte le proprie esigenze, da quelle più materiali (dal cibo al riposo) e quelle più alte (dalla giustizia alla bellezza) è altrettanto vero, se non di più, che a influenzarci sono le nostre insoddisfazioni. Soprattutto nel mondo del lavoro. Quante volte vi è capitato di incontrare imprenditori, e soprattutto manager, insoddisfatti? A me in continuazione. Si dicono incompresi dal mercato, dagli azionisti che non concedono spazi e deleghe per agire come si dovrebbe, da uno Stato che appare muto, cieco e sordo, dai partner che non capiscono come occorra realizzare i giusti margini per creare qualità, dagli stessi dipendenti insensibili al fatto che ai profitti aziendali sia legata l’esistenza stessa dei loro posti di lavoro… e si potrebbe continuare all’infinito, in una girandola di incomprensioni vere o presunte – a cui si aggiungono quelle originate dalla sfera personale – che non lascia scampo. O invece sì. Già, perché in definitiva esistono essenzialmente due modi per rispondere allo scontento: arrendersi a esso, lasciandosi invadere da un rancore che ci degrada in vittime prima di noi stessi e poi delle circostanze, oppure reagire per generare il cambiamento. In fin dei conti, anche Albert Einstein era insoddisfatto delle tesi della fisica ufficiale, perciò studiò per riscriverle. E ciò vale per quasi tutti i premi Nobel che nei vari campi l’hanno preceduto e seguito. Allo stesso modo, seppur su piani differenti, in tempi più recenti Steve Jobs, Bill Gates, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg erano altrettanto insoddisfatti delle modalità sperimentate fino ad allora per sfruttare la tecnologia. Perciò si sono spinti a inventarne di nuove. Così come fa ogni imprenditore che, fondando la sua azienda, sia essa piccola o grande, per offrire un nuovo prodotto o un inedito servizio intende soddisfare i bisogni (insoddisfatti) della sua clientela. Come dire? È l’insoddisfazione che muove il mondo, essa è allo stesso tempo problema e soluzione, veleno e antidoto, malattia e farmaco. Per questo procede su un equilibrio precario, per cui sono purtroppo molti quelli che si arrendono sotto il suo peso e pochi quelli che la domano per farne buon uso.
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