Una crisi che danneggia tutti

Si riparte, dopo un’estate non facile per l’esercizio. E addirittura pessima per chi lavora sul prodotto di qualità, quelle sale “tradizionali” già in crisi per i poco brillanti risultati di questi film nei mesi precedenti. Con la stagione dei festival che riparte con Venezia – seguiranno Roma e Torino – per alcuni mesi l’approvvigionamento non sarà un problema, anzi: assisteremo a fin troppe uscite, con titoli dallo stesso target in concorrenza. Tanti i film italiani (e anche europei, americani, di altri continenti) che premono per trovare spazio. È critica la situazione, soprattutto delle delle sale di città; e l’associazione Anec a settembre proporrà a Milano una giornata di lavori per focalizzare l’attenzione sul problema. Intanto, c’è chi chiude i battenti per sempre (a Milano la storica, e apprezzatissima, monosala President: anche se speriamo che non sia una chiusura definitiva), e c’è chi parla – lo ha fatto anche Carlo Verdone di recente – di centinaia di cinema pronti a tirar giù la saracinesca nei prossimi mesi. C’è una certa indifferenza o sottovalutazione del fenomeno: a parte gli esercenti coinvolti, le sigle associative (Anec ma anche Fice, federazione dei cinema d’essai), e un produttore illuminato come Riccardo Tozzi che da tempo mette in guardia sulle conseguenze anche per il cinema italiano, pochi altri se ne curano. Molti distributori guardano con fatalismo (nel migliore dei casi) al problema, il Ministero dei Beni Culturali ha le sue gatte da pelare per finanziare la produzione (ma il miglior investimento è difendere il parco sale) e gli enti locali – che pure sono i più colpiti dal depauperamento culturale dei centri storici – non fanno molto per i cinema che rischiano di chiudere, a fronte invece di finanziamenti e iniziative meritorie per la Settima Arte. Non pensiamo che Comuni, Province e Regioni debbano assistenzialisticamente finanziare sale in difficoltà (anche se nelle emergenze – come la crisi economica ha dimostrato – sarebbe lecito fare anche questo: non è strategico, per esempio, difendere l’unico cinema rimasto in un capoluogo di provincia?). Però il primo passo sarebbe capire la gravità del problema. E a livello operativo, se si vuole, si possono creare agevolazioni, favorire convenzioni (sui parcheggi, per esempio), ideare esenzioni o pensare a iniziative promozionali (feste del cinema e simili) in grado di aiutare i gestori. Ovviamente, pensiamo che la parte principale debba farla il mercato. L’esercizio, innanzi tutto, non deve abbassare la guardia: investendo – per quanto possibile – sulla cura delle proprie strutture (comfort, pulizia, servizi: anche in comunicazione, non servono grandi spese e spesso diventano con gli sponsor fonte di introiti), ma soprattutto non facendosi vincere dalla sindrome della sconfitta. Certi cinema – lo diciamo davvero a malincuore – diventano luoghi tristi perché segno di un pessimismo di fondo: perché uno spettatore dovrebbe aver voglia di andarci, o tornarci? Se sono, come sono, luoghi fondamentali di cultura, non possono diffondere un’immagine triste, da sconfitti, ma dinamica e vivace. Ma anche la distribuzione ha le sue responsabilità e i suoi doveri. Se queste sale chiudono, il prodotto che vi trova la miglior ospitalità è destinato al flop. I dati parlano chiaro: è giusto cercare di allargare il proprio business portando certi film nei multiplex (anche per abituare un pubblico giovane, spesso indifferente a quelle pellicole), ma è noto che i maggiori incassi – e di gran lunga – i film d’autore li fanno in sale tradizionali. Produttori e distributori che puntano molto su questi titoli, italiani e non, se la vedrebbero male. E d’altro canto, ridurre ancor più di quanto non sia già avvenuto questo tipo di offerta sarebbe un vero peccato. Varrebbe la pena ripensare a maggiori sinergie tra i due “attori”: in questo senso, l’iniziativa di Cinecittà Luce che destinerà parte dell’investimento marketing a gestori specializzati, perché spendano sul territorio un piccolo budget, ci sembra molto innovativa. Ma si dovrebbero anche ripensare decisamente le modalità commerciali verso certe sale, per aiutarle a sopravvivere. Perché se chiudono loro, salta una precisa e quantificabile fetta di mercato. E in quel caso, altro che sognare di superare il tetto dei 120 milioni di biglietti…
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