La debolezza della catena europea
Che mercato è quello della produzione televisiva europea sballottato com’è tra i flutti della crisi economica? Incerto e in difficoltà, mentre i continui tagli agli investimenti operati dai broadcaster l’hanno via via quasi scarnificato esponendo una struttura in alcuni punti incerta. Ai tempi delle vacche grasse, di raccolte pubblicitarie record, si aveva la fiducia (o l’ingenuità?) di sostenere che il mercato, vivificatore, alla fine avrebbe riequilibrato tutto. Ora che le vacche si sono fatte magre e che altri media (internet in particolare) cominciano ad allettare gli inserzionisti, ci si accorge che il mercato non basta e che andrebbe sostenuto. A livello locale ed europeo. Se sperare in un’azione del governo italiano risulta allo stato dei fatti pura utopia, quella Ue rimane l’unica chance. Ma prima vanno isolate alcune considerazioni di fondo. Partendo dal fatto che non basta – come accade – veder crescere il numero delle coproduzioni internazionali, dettate essenzialmente da necessità di carattere economico, per poter parlare di una volontà strategica di fare sistema. In più, le autorità di Bruxelles non possono sperare che le loro norme abbiano lo stesso impatto in Paesi in cui gli equilibri di potere tra operatori sono sbilanciati, come per esempio in Italia, rispetto a quelli in cui il gioco della concorrenza prevale. In un’Europa che finanzia tutto, i finanziamenti a sostegno della produzione tv non tengono conto della situazione oggettiva in cui versa il settore nei singoli Stati. Il momento è serio, perciò pretendere di curare tutti con l’aspirina, quando qualcuno avrebbe bisogno di un antibiotico, è da dilettanti. Invece è quanto sta succedendo, col risultato che gli anelli deboli della catena europea stanno diventando sempre più deboli. Nel frattempo, il sistema integrato tra cinema e tv degli studios Usa guadagna terreno, perché le fiction e gli show locali, cancellati dai piani di produzione delle reti del Vecchio Continente, vengono sostituiti con programmi d’acquisto a stelle e strisce. E anche certa produzione audiovisiva low budget e low profile, vedi l’animazione made in Estremo Oriente, è diventata ancora più competitiva in uno scenario di multicanalità, dov’è imperativo riempire sempre e comunque i crescenti spazi di programmazione. Non bisogna avere la sfera di cristallo per accorgersi che c’è il rischio che la qualità e l’immaginario di stampo europeo escano profondamente provati da tutto questo, in alcuni Paesi più che in altri, e che le istituzioni dell’audiovisivo dell’Unione abbiano smarrito il senso della stessa, e cioè che la forza dell’insieme coincide con quella del suo anello più debole.
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